La prescrizione è quella causa di estinzione di un diritto che si verifica quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge (art. 2934 C.C.).
Salvo alcuni diritti imprescrittibili – come il diritto alla salute, alla pensione o all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato –, i diritti si prescrivono, in via ordinaria, con il decorso di dieci anni (art. 2946 C.C.).
Nel rapporto di lavoro sono soggetti alla prescrizione decennale, a titolo esemplificativo, il diritto al risarcimento del danno di natura contrattuale, come quello subito dal lavoratore alla propria integrità psico-fisica (ai sensi dell’art. 2087 C.C.) o a causa della mancata fruizione delle ferie o del riposo settimanale; il diritto all’acquisizione della qualifica superiore; il diritto al risarcimento del danno per omesso versamento contributivo.
Nel diritto del lavoro, tuttavia, opera anche una prescrizione breve di cinque anni per una serie molto importante di diritti. Vediamo quali.
La prescrizione estintiva breve quinquennale.
L’art. 2948, n. 4, C.C., prevede che si prescrive in cinque anni “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”. La norma rende quindi soggette a prescrizione quinquennale tutte le retribuzioni corrisposte dal datore di lavoro al lavoratore con cadenza annuale o inferiore all’anno: si tratta della retribuzione ordinaria; delle mensilità aggiuntive (13ma e 14ma); delle gratifiche, premi di produzione o bonus annuali; degli straordinari; delle indennità di trasferta o di trasferimento; delle differenze retributive spettanti per lo svolgimento di mansioni superiori; dei crediti contributivi (salvo denuncia del lavoratore all’I.N.P.S.).
Ai sensi dell’art. 2948, n. 5, C.C., inoltre, si prescrivono in cinque anni anche le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, come il trattamento di fine rapporto (TFR) e l’indennità sostitutiva del preavviso.
La decorrenza della prescrizione relativa ai crediti retributivi: l’intervento della Corte Costituzionale.
La prescrizione estintiva inizia a decorrere, normalmente, dal momento in cui il diritto può essere fatto valere: questo principio, prescritto dall’art. 2935 C.C., se applicato alla lettera ai crediti retributivi, comporterebbe il decorso della prescrizione di cinque anni sin dal primo giorno del mese successivo rispetto a quello di maturazione della retribuzione, anche se il rapporto di lavoro fosse ancora in essere.
La Corte Costituzionale ha quindi dichiarato illegittimo l’art. 2948, n. 4, C.C. nella parte in cui consente che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra in costanza di rapporto di lavoro, poiché in questo caso il lavoratore si trova in una condizione di sudditanza psicologica nei confronti del datore di lavoro che lo potrebbe spingere, per il timore di essere licenziato o di subire ritorsioni, a rinunciare all’esercizio dei propri diritti (Corte Costituzionale, n. 63 del 10 giugno 1966). La prescrizione in questi casi inizierebbe a decorrere solo dalla cessazione del rapporto di lavoro.
La giurisprudenza successiva, tuttavia, aveva precisato che nei rapporti di lavoro soggetti alle tutele dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970), la prescrizione dei crediti retributivi continuava a decorrere in costanza di rapporto di lavoro, poiché in questi casi il rapporto di lavoro era caratterizzato da una particolare forza di resistenza derivante dalla stabilità reale del posto di lavoro garantita al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo (Corte Cost., n. 143 del 20 novembre 1969, e n. 174 del 12 dicembre 1972; Cass. S.U. n. 1268, del 17 aprile 1976).
L’impatto della Riforma Fornero e del Jobs Act sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Sennonché la Riforma Fornero (L. n. 92/2012) ha profondamente riformato l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori: mentre prima il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro conseguiva ad ogni caso di licenziamento illegittimo, con la Riforma Fornero la tutela reintegratoria veniva limitata ai licenziamenti affetti da vizi più gravi, mentre nelle altre ipotesi residuava una tutela di tipo meramente economico.
Con riferimento inoltre ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, soggetti alla nuova disciplina c.d. delle tutele crescenti, il Jobs Act ha reso del tutto eccezionale la tutela reintegratoria, limitata alle ipotesi di licenziamento nullo, discriminatorio o orale, e a quelle di licenziamento disciplinare in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (artt. 2 e 3, D.Lgs. n. 23/2015).
Una parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto pertanto che la prescrizione dei crediti retributivi non può che decorrere, in ogni rapporto di lavoro, dalla cessazione del rapporto di lavoro, poiché a seguito delle modifiche apportate alla Riforma Fornero, prima, e dal Jobs Act, poi, il lavoratore si trova oggi in una condizione di incertezza circa la tutela – reintegratoria o indennitaria – applicabile in caso di licenziamento illegittimo (accertabile solo ex post nelle ipotesi di impugnazione giudiziale del licenziamento).
L’intervento chiarificatore della Corte di Cassazione.
Da ultimo sulla questione è intervenuta la Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 26246 del 6 settembre 2022 (confermata da Cass. n. 30957 del 20 ottobre 2022), ha confermato l’indirizzo giurisprudenziale da ultimo esposto.Secondo la Cassazione il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della Riforma Fornero e del Jobs Act, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle ipotesi di licenziamento e di una loro tutela adeguata, non è più assistito da un regime di stabilità. Conseguentemente la prescrizione dei crediti lavorativi decorre dalla conclusione del rapporto di lavoro anche per quei rapporti in cui trova applicazione l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.