Cos’è l’art. 18?
La L. 20 maggio 1970 n. 300, denominata “Statuto dei lavoratori”, è un complesso di norme volto a disciplinare, nei suoi vari aspetti, il rapporto di lavoro.
In particolare l’art. 18 della legge in questione è una norma di tutela del lavoratore di fronte ad ipotesi di licenziamenti illegittimi.
Cos’è la “riforma Fornero”?
Con la L. 28 giugno 2012 n. 92, sostenuta dal Ministro Elsa Fornero, si è avuta la riforma del mercato del lavoro. Le norme che hanno suscitato maggior interesse e critiche, sono appunto quelle di modifica dell’art.18.
Modifiche che hanno portato ad uno stravolgimento sostanziale della disciplina dei licenziamenti.
Come cambia l’art. 18?
Come detto, la principale novità introdotta con la riforma riguarda il trattamento sanzionatorio irrogato nei confronti del datore di lavoro, nei casi in cui il giudice dovesse accertare l’illegittimità del licenziamento.
Già dalla modifica della rubrica dell’articolo (da “Reintegrazione nel posto di lavoro” a “Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo”) si può nota come la disciplina sia stata riformata.
In passato era previsto l’obbligo di procedere al reintegro nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato.
Adesso invece tale ipotesi non è più l’unica possibile. Vengono infatti disciplinata una serie di casi nei quali il giudice obbligherà il datore, in luogo del reinserimento del lavoratore nel posto di lavoro, a risarcire il licenziato con una somma (che può variare, a seconda dei casi, da 15 a 24 mensilità).
Quando si avrà il reintegro e quando invece il risarcimento?
Per dare un quadro maggiormente esplicativo, è utile distinguere tre ipotesi di licenziamento: discriminatorio, disciplinare ed economico.
Si ha licenziamento discriminatorio quando alla base della scelta di estromettere il lavoratore dal luogo di lavoro, vi sono delle motivazioni di tipo razziale, religiose, politiche o di sesso.
Non essendo tollerabile, nel nostro ordinamento giuridico, alcuna forma di discriminazione di questo tipo, in questo caso la sanzione non è stata modificata dalla riforma e quindi si avrà l’obbligo di riassunzione del lavoratore e di dare a questo a titolo di risarcimento 5 mensilità.
In questo caso l’unica novità riguarda la facoltà concessa al lavoratore di richiedere, invece del reintegro, un risarcimento pecuniario di 15 mensilità (pensata per le ipotesi nelle quali il ritorno nel luogo di lavoro a seguito dei contrasti col datore non fosse accettabile per la persona del lavoratore).
Il licenziamento disciplinare si può avere in due ipotesi: per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.
La giusta causa si verifica quando il lavoratore si rende responsabile di comportamenti particolarmente gravi, tali da ledere in maniera pressoché definitiva il rapporto di fiducia datore-lavoratore (si pensi ad ipotesi di furti sul luogo di lavoro, continue assenze ingiustificate ecc..).
Il giustificato motivo soggettivo invece riguarda ipotesi meno gravi rispetto a quelle precedenti, ma che comunque impediscono il proseguimento del rapporto di lavoro ( a titolo di esempio possono riguardare casi di violazioni del codice disciplinare, la permanenza in malattia per un periodo superiore rispetto a quello indicato ecc..). Il datore potrà procedere al licenziamento dandone però un certo preavviso (a differenza della prima ipotesi ove il preavviso non è richiesto).
Qualora il giudice dovesse accertare l’assenza di tali requisiti, prima della riforma del 2012 era sempre previsto il reintegro del lavoratore.
Ora seguito dell’entrata in vigore della L. 92/2012 è invece prevista la sanzione del risarcimento di una somma che varia da 15 a 24 mensilità. Se invece dovesse essere accertato che il dipendente non abbia commesso il fatto, o la sua insussistenza, il giudice disporrà la riassunzione e un risarcimento pari alle mensilità intercorse tra il licenziamento e la reintegra.
Il licenziamento economico è infine quello che deriva da un giustificato motivo oggettivo inerente l’azienda, non legato cioè a comportamenti del lavoratore.
In particolare vengono in considerazione casi nei quali per qualsiasi motivo venga chiusa un’attività produttiva, o vengano introdotte delle nuove tecnologie o strumentazioni che comportino una riduzione della necessità di manodopera ecc.. Sono tutti casi nei quali, senza colpa del lavoratore, non siano più necessarie le sue prestazioni.
Anche per tali ipotesi la riforma è intervenuta modificando le conseguenza sanzionatorie.
Prima della riforma, se il giudice accertava l’insussistenza dei requisiti oggettivi richiesti da questa forma di licenziamento, era sempre previsto il reintegro del lavoratore.
Adesso invece, come nell’ipotesi precedente, riscontrata l’assenza dei requisiti, il giudice obbligherà il datore a corrispondere un risarcimento pari ad una somma compresa tra le 15 e le 24 mensilità.
Qualora invece si dovesse dimostrare che le ragioni economiche erano inesistenti ed erano un pretesto per procedere ad un licenziamento per altri motivi, verrà ordinata la riassunzione del licenziato.
Quindi come viene in concreto deciso quale sanzione irrogare?
Prima di tutto bisogna chiarire che il regime sanzionatorio così come innovato dalla riforma del 2012 verrà applicato solo a quei licenziamenti che siano stati intimati a partire dal 18 luglio 2012.
Per quelli antecedenti a questa data continuerà ad applicarsi la disciplina precedentemente in vigore (un esempio in tal senso è riscontrabile in ordin. Trib. Milano 13.09.2012, dott. Lualdi).
Ciò che deriva dalla riforma, al di là delle conseguenze sopra evidenziate, è il nuovo ruolo propulsivo della Magistratura del Lavoro, alla quale sarà sempre più spesso demandato il compito di interpretare una serie di concetti difficilmente definibili; cosa che rischia anche di accrescere la sua discrezionalità.
Un esempio del nuovo ruolo interpretativo attribuito alla Magistratura, si può vedere nell’ordinanza del Tribunale di Bologna, 15.10.2012, dott. Marchesini, nella quale, in un’ipotesi di licenziamento disciplinare, è stata riconosciuta l’insussistenza del fatto, con la conseguente applicazione della reintegrazione.
Nel caso di specie infatti il giudice ha ritenuto di dover interpretare il concetto di “fatto” (relativamente alla sua sussistenza o meno) come comprensivo delle sue componenti oggettive e soggettive.
É necessaria dunque “(…) la contestualizzazione del fatto medesimo e la sua collocazione nel tempo, nello spazio, nella situazione psicologica dei soggetti operanti, nonché nella sequenza degli avvenimenti e delle condotte degli altri soggetti che hanno avuto un ruolo nel fatto storico in esame (…)”.