Licenziamento dipendente

Una guida utile

Il labirinto del licenziamento in Italia

Fra norme, diritti e realtà lavorativa

Il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore rappresenta uno dei pilastri fondamentali dell’organizzazione sociale contemporanea. La stabilità di questa relazione, tuttavia, non può essere considerata immutabile, come dimostra l’istituto del licenziamento del dipendente, che ne segna la possibile conclusione per mano del datore di lavoro. L’evoluzione del diritto del lavoro riflette la trasformazione della società industriale in società dei servizi, dove la flessibilità organizzativa si confronta con l’esigenza di tutela dei diritti fondamentali del lavoratore.

Il legislatore italiano, influenzato dalla normativa europea e dai principi costituzionali, ha sviluppato nel tempo un sistema di garanzie reciproche che bilancia gli interessi contrapposti: da un lato, la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore (art. 41 Cost.), dall’altro, la tutela del lavoro in tutte le sue forme (art. 35 Cost.). Questo delicato equilibrio si manifesta attraverso un articolato sistema di norme che regolano la cessazione del rapporto di lavoro.

La giurisprudenza costituzionale ha progressivamente delineato i confini entro i quali può legittimamente esplicarsi il potere di recesso datoriale, evidenziando come questo debba necessariamente contemperarsi con i diritti fondamentali della persona che lavora. Tale evoluzione rispecchia la crescente consapevolezza del ruolo centrale che il lavoro riveste non solo nell’economia, ma anche nella realizzazione personale dell’individuo e nella sua partecipazione alla vita sociale.

Licenziamento dipendente: Quadro Normativo del licenziamento: dall'Art. 18 al Jobs Act

Il licenziamento del dipendente nel quadro normativo italiano è disciplinato da più fonti. La disciplina originaria era basata sugli art. 2118 e 2119 del Codice Civile, i quali non prevedevano alcun limite al potere del datore di lavoro di recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato. L’art. 2118 Cod. Civ., infatti, stabilisce che sia il lavoratore che il datore di lavoro possono recedere liberamente dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, con il solo obbligo di dare all’altra parte un preavviso, la cui durata è rimessa ai contratti collettivi. Il successivo art. 2119 Cod. Civ. consente invece il recesso immediato, senza l’obbligo di dare un preavviso, qualora l’altra parte ponga in essere una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto, cioè un gravissimo inadempimento degli obblighi contrattuali: si tratta delle ipotesi di licenziamento e dimissioni per giusta causa.

Solo nel 1966, grazie alla Legge 15 luglio 1966, n. 604, sono stati stabiliti per la prima volta dei limiti al potere di licenziamento del lavoratore da parte del datore di lavoro, prevedendo il rispetto di regole di forma e, soprattutto, la necessità di una giusta causa ai sensi dell’art. 2119 Cod. Civ. o di un giustificato motivo oggettivo o soggettivo (quest’ultimo detto anche disciplinare), la cui inesistenza determina l’illegittimità del licenziamento. Un’altra legge fondamentale in materia di licenziamento è la Legge 20 maggio 1970, n. 300, il c.d. Statuto dei Lavoratori, il cui art. 18 ha introdotto nel nostro ordinamento la tutela reale o reintegratoria contro i licenziamenti illegittimi, a fronte del quale il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto alla reintegrazione (o reintegro) nel posto di lavoro, oltre ad un risarcimento del danno. Questa tutela è stata tuttavia riservata dallo Statuto dei Lavoratori alle aziende medio-grandi, ossia con più di 15 dipendenti nell’unità produttiva o più di 60 dipendenti a livello nazionale. Nelle piccole imprese, invece, il datore di lavoro può scegliere tra la riassunzione del lavoratore illegittimamente licenziato o il pagamento di un risarcimento del danno: si tratta della tutela obbligatoria, prevista dall’art. 8 della Legge n. 604/1966.

Cosa succede, ad esempio, se un lavoratore viene licenziato per aver espresso una propria opinione o pensiero?

Questo impianto, fondato per lunghi anni sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, il cui ambito di applicazione è stato esteso dalla Legge 11 maggio 1990, n. 108, ha subito una trasformazione radicale con l’entrata in vigore della Legge n. 28 giugno 2012, n. 92, la c.d. Riforma Fornero, e successivamente con il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23/2015 (in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n. 183, il c.d. Jobs Act).

La Riforma Fornero ha fortemente modificato l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, sostituendo all’unitaria disciplina sanzionatoria precedentemente prevista, fondata sulla reintegrazione nel posto di lavoro, un apparato sanzionatorio composto da quattro diverse ipotesi di tutela a seconda della gravità del vizio del licenziamento, alcune delle quali consistenti solamente in un risarcimento del danno. Da ultimo, il Jobs Act ha ridotto ulteriormente la tutela reintegratoria contro i licenziamenti illegittimi, rendendola residuale, ed ha introdotto uno spartiacque tra vecchi e nuovi assunti.

Il regime di tutela si articola oggi su due binari paralleli determinati dalla data del 7 marzo 2015. Per i rapporti di lavoro antecedenti, trova applicazione l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, modificato dalla Riforma Fornero, che prevede un sistema articolato di protezioni dove la tutela reintegratoria piena si applica nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in forma orale. La tutela reintegratoria attenuata, ossia accompagnata da un risarcimento del danno limitato, si applica invece nelle ipotesi principali di insussistenza del giustificato motivo o della giusta causa oppure quando il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa.

Il Jobs Act introduce un regime di tutela marcatamente differente per le assunzioni decorrenti dal 7 marzo 2015, incentrato su una tutela indennitaria (risarcitoria) crescente e non più sulla reintegrazione nel posto di lavoro. L’indennità risarcitoria viene parametrata all’anzianità di servizio, con un minimo di 6 e un massimo di 36 mensilità, secondo quanto stabilito dal c.d. Decreto Dignità (D.L. 12 luglio 2018, n. 87). La reintegrazione viene limitata ai soli casi di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in forma orale, nonché alle ipotesi più gravi di licenziamento disciplinare.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 194/2018, ha tuttavia dichiarato l’illegittimità del criterio di determinazione dell’indennità basato sulla sola anzianità di servizio, introducendo parametri aggiuntivi quali: numero dei dipendenti occupati,dimensioni dell’impresa e dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti.

La Tutela legale lavoratore del dipendente si estende anche alla fase procedurale, con l’obbligo di preventiva contestazione disciplinare previsto dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, che il datore di lavoro deve porre in essere prima di un licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, e con la previsione di una specifica procedura per l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore.

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Licenziamento del dipendente a tempo indeterminato: le tipologie e le causali di licenziamento in un’analisi tecnico-giuridica

Il Licenziamento del dipendente nel sistema giuslavoristico italiano si articola in diverse tipologie, ciascuna caratterizzata da specifici presupposti e requisiti di legittimità. La prima distinzione è tra i licenziamenti di tipo disciplinare, nei quali sono ricompresi il licenziamento per giusta causa e quello per giustificato motivo soggettivo, e i licenziamenti per motivi economici, ossia per giustificato motivo oggettivo.

La giusta causa (art. 2119 c.c.) rappresenta la forma più grave di recesso dal rapporto di lavoro, configurandosi quando si verifica una condotta del lavoratore talmente lesiva del rapporto di fiducia con il datore di lavoro da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto. Si tratta di comportamenti di una gravità tale da incidere in termini assolutamente negativi sul giudizio del datore di lavoro circa l’idoneità e l’affidabilità del lavoratore per quanto concerne la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Le condotte del lavoratore idonee a ledere il vincolo fiduciario sono sia quelle che comportano una violazione degli obblighi legali e degli obblighi contrattuali assunti nei confronti del datore di lavoro sia quelle poste in essere al di fuori dal contesto lavorativo di rilevante gravità o disvalore sociale.

Altro presupposto della giusta causa di licenziamento è la gravità della condotta, che deve sussistere sia un punto di vista oggettivo, nel senso di esistenza concreta dell’illecito, sia da un punto di vista soggettivo, nel senso che occorre valutare la qualità e il grado del vincolo di fiducia di quel particolare rapporto di lavoro, che può variare a seconda della qualifica e delle mansioni svolte dal dipendente, nonché l’intensità dell’elemento psicologico della condotta in termini di dolo o colpa.

Il licenziamento per giusta causa, infine, deve essere proporzionato rispetto alla gravità dei comportamenti posti in essere dal lavoratore; la proporzionalità del licenziamento è valutata dal giudice, il quale deve fare riferimento anche a quanto previsto dalla contrattazione collettiva con riferimento alle mancanze del lavoratore.

Per il lavoratore, oltre alla perdita della fonte di reddito, c'è il peso emotivo di sentirsi trattato ingiustamente o di non valere abbastanza.

Mentre per l'azienda, un licenziamento gestito in modo non appropriato può significare non solo pesanti sanzioni economiche, ma anche una reputazione compromessa nel mercato del lavoro.

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo (art. 3, L. 604/1966) è un licenziamento con preavviso che si configura in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali. La differenza con la giusta causa risiede nella minore gravità della condotta, che consente l’espletamento del periodo di preavviso. 

I contratti collettivi spesso individuano ipotesi tipiche di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, tra le quali figurano: l’insubordinazione qualificata verso superiori; le reiterate assenze ingiustificate; la negligenza nell’esecuzione della prestazione; la recidiva in comportamenti già sanzionati con la sospensione dal lavoro.

Anche il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, così come quello per giusta causa, deve essere proporzionato rispetto ai fatti addebitati al lavoratore.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo o economico (art. 3, L. 604/1966) è il licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della stessa. 

Il giustificato motivo soggettivo ricorre non solo nei casi di crisi di mercato o di settore, che si ripercuotono sull’andamento economico e finanziario dell’azienda, ma può essere giustificato anche da legittime scelte imprenditoriali volte ad apportare miglioramenti produttivi ed organizzativi ovvero ad aumentare la redditività dell’impresa.

Come tutelarsi
efficacemente?

Le ipotesi più frequenti di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono:

  • riorganizzazione aziendale ed esternalizzazione delle mansioni (c.d. outsourcing)
  • innovazioni tecnologiche nei processi produttivi
  • soppressione del posto di lavoro o del reparto cui è addetto il lavoratore
  • crisi aziendale documentata e cessazione dell’impresa
  • sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo richiede la dimostrazione dell’effettività delle ragioni produttive, organizzative o economiche e del nesso causale tra le suddette ragioni e il licenziamento. La scelta del dipendente da licenziare non deve inoltre essere casuale ma deve rispettare criteri di correttezza e buona fede (il riferimento è ai criteri di scelta previsti dalla normativa per i licenziamenti collettivi).

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Sul datore di lavoro grava infine l’obbligo di repêchage, ovvero l’obbligo di valutare preventivamente la possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni, sia analoghe o equivalenti a quella soppressa, ma anche diverse e inferiori rispetto a quelle da ultimo ricoperte.

Un Avvocato del Lavoro Firenze deve valutare attentamente i fatti posti a base del licenziamento del dipendente per capire se l’azienda ha rispettato i requisiti previsti dalla legge e dal contratto collettivo a seconda della tipologia di licenziamento.

Un accenno va fatto infine al  licenziamento collettivo (L. 223/1991), che si distingue per:

  • Coinvolgimento di almeno 5 lavoratori
  • Arco temporale di 120 giorni
  • Procedura di consultazione sindacale
  • Criteri di scelta dei lavoratori predeterminati

Licenziamento del dipendente a tempo indeterminato: le tipologie e le causali di licenziamento in un’analisi tecnico-giuridica

La procedura del Licenziamento dipendente si caratterizza per una rigorosa sequenza di adempimenti formali che richiede particolare attenzione nella sua esecuzione. Anche la procedura si differenzia a seconda della tipologia di licenziamento, se di tipo disciplinare o economico. 

Nei casi di licenziamento disciplinare, ossia per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il licenziamento deve essere preceduto dal procedimento disciplinare regolato dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori. Prima di tutto il datore di lavoro ha l’obbligo di affissione in un luogo accessibile a tutti i lavoratori del codice disciplinare, ossia di quell’insieme di norme che disciplinano le sanzioni disciplinari, le infrazioni in relazione alle quali può essere applicata una sanzione e le procedure di contestazione.

Il procedimento disciplinare prende avvio con la contestazione disciplinare al lavoratore, la quale deve necessariamente rispettare i principi di immediatezza e specificità, articolandosi in forma scritta con una puntuale descrizione dei fatti addebitati al lavoratore.

La normativa giuslavoristica prevede un termine di cinque giorni (o un termine maggiore se previsto dalla contrattazione collettiva) entro i quali il prestatore di lavoro può esercitare il proprio diritto di difesa, presentando giustificazioni in forma scritta o richiedendo un’audizione orale, eventualmente assistito da un rappresentante sindacale. Tale fase risulta cruciale per la validità dell’intero procedimento, poiché costituisce espressione del diritto costituzionale di difesa.

Al termine del procedimento disciplinare il datore di lavoro è libero di irrogare o meno una sanzione disciplinare; se non lo fa, si ritiene che l’azienda abbia accolto le giustificazioni del lavoratore.

Per quanto riguarda i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo è prevista una specifica procedura preventiva solamente per le aziende grandi, che superano cioè i quindici dipendenti, e che vogliono licenziare un lavoratore assunto a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015 (art. 7, L. 604/1966). 

In queste aziende il licenziamento per giustificato motivo oggettivo richiede l’espletamento di una procedura di conciliazione preventiva presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro. In questa sede, il datore di lavoro deve illustrare i motivi del progettato licenziamento e le eventuali misure di ricollocamento proposte, in un’ottica di salvaguardia del posto di lavoro.

Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, il lavoratore potrà fruire dell’indennità di disoccupazione; se la conciliazione, invece, fallisce, il datore di lavoro può a questo punto comunicare il licenziamento.

Un Avvocato del Lavoro Prato deve prestare particolare attenzione alla fase della comunicazione del licenziamento, che rappresenta il momento culminante della procedura. Il provvedimento espulsivo deve in tutti i casi rivestire la forma scritta ad substantiam e contenere una specifica motivazione, pena la sua inefficacia (art. 2, L. 604/1966). La tempistica assume un ruolo fondamentale: il lavoratore dispone di sessanta giorni per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento e di ulteriori centottanta giorni per l’impugnazione giudiziale o per la richiesta di un tentativo di conciliazione o arbitrato.

Solo in caso di licenziamento orale il lavoratore non ha l’onere di impugnare il licenziamento entro il termine perentorio di sessanta giorni, ma potrà agire per far dichiarare l’inefficacia del licenziamento entro il termine di prescrizione di cinque anni.

Licenziamento del dipendente: Sistema delle Tutele e Regime Sanzionatorio

Le tutele contro il licenziamento illegittimo sono di due tipi, a seconda del vizio che affligge il licenziamento e delle dimensioni dell’azienda: la tutela reintegratoria o reale e la tutela obbligatoria o indennitaria. La tutela reintegratoria comporta il ripristino giuridico del rapporto di lavoro e quindi la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro, a cui il lavoratore può scegliere di sostituire un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione; la tutela obbligatoria comporta invece solamente un risarcimento del danno o indennizzo a fronte della cessazione definitiva del posto di lavoro.

Un Avvocato del Lavoro Pistoia deve valutare attentamente la sussistenza dei requisiti dimensionali dell’azienda, che incidono sul regime di tutela applicabile:

  • Aziende grandi: tutela reintegratoria o indennitaria forte
  • Aziende piccole: tutela obbligatoria

La distinzione tra azienda grande e piccola è data dal numero di dipendenti occupati: sono aziende grandi quelle che occupano più di quindici dipendenti in ciascuna sede (stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo) o nell’ambito dello stesso comune, e in ogni caso quelle che occupano più di sessanta dipendenti sull’intero territorio nazionale; sono aziende piccole, invece, quelle fino a quindici dipendenti.

Il regime sanzionatorio, infine, si differenzia tra lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, soggetti all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, e lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, ossia con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e soggetti al Jobs Act (D.Lgs. 23/2015). Nel primo caso sono infatti maggiori le ipotesi in cui spetta la tutela reintegratoria rispetto ai casi in cui spetta un’indennità risarcitoria.

A prescindere dal numero di dipendenti occupati e dalla data di assunzione la legge dà sempre diritto al lavoratore alla tutela reintegratoria in tutti i casi di licenziamento discriminatorio o nullo.

Il licenziamento discriminatorio (art. 15, L. 300/1970; art. 4, L. 604/1966; ) si caratterizza per essere determinato da:

  • Motivi politici
  • Religiosi
  • Sindacali
  • Razziali
  • Di genere
  • Di orientamento sessuale
  • Di lingua
  • Di età
  • Legati alle convinzioni personali del dipendente

Il sistema prevede inoltre ipotesi espresse di nullità del licenziamento, che danno sempre diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro; è infatti nullo il licenziamento intimato:

  • Durante il periodo di gravidanza ed entro il primo anno di età del bambino (art. 54, D.Lgs. 151/2001)
  • Per causa di matrimonio
  • Per la fruizione dei congedi di maternità e paternità o parentali 
  • Per motivi ritorsivi
  • In forma orale

Il Licenziamento nelle grandi aziende: spazio per la Tutela Reintegratoria e la Tutela Indennitaria Forte

Nelle grandi aziende, ossia quelle con più di 15 dipendenti a livello di sede o comunale o più di 60 a livello nazionale, la tutela contro il licenziamento illegittimo prevede sanzioni maggiori.

Per i vecchi assunti, cui si applica l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, sono maggiori le ipotesi in cui è prevista la reintegrazione nel posto di lavoro, rispetto ai lavoratori assunti a tempo indeterminato a decorrere dal 7 marzo 2015.

Nei casi di licenziamento discriminatorio o nullo è prevista la tutela reintegratoria piena, che dà diritto al lavoratore a:

  • reintegrazione nel posto di lavoro
  • risarcimento del danno subito, pari alle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità
  • versamento dei contributi previdenziali maturati dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione

La tutela reintegratoria attenuata spetta invece nei seguenti casi:

  • licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo dichiarato illegittimo perché il fatto contestato al lavoratore è insussistente oppure è punibile con una sanzione conservativa (richiamo, multa o sospensione dal lavoro) sulla base dei contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili
  • insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (Corte Costituzionale n. 59/2021 e Corte Costituzionale n. 125/2022)
  • difetto di giustificazione del licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica del lavoratore
  • licenziamento intimato in violazione del periodo di comporto (art. 2110, comma 2 Codice Civile)

La tutela reintegratoria attenuata dà diritto al lavoratore a:

  • reintegrazione nel posto di lavoro
  • risarcimento del danno subito, pari alle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità di retribuzione
  • versamento dei contributi previdenziali maturati dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione

 

In tutti gli altri casi in cui non ricorrono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo (compreso il caso di licenziamento sproporzionato) spetta al lavoratore la tutela indennitaria forte, che prevede un’indennità risarcitoria omnicomprensiva tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, calcolata tenuto conto dei seguenti indici:

  • anzianità del lavoratore
  • numero dei dipendenti occupati dall’azienda
  • dimensioni dell’attività economica
  • comportamento e condizioni delle parti

 

Nelle grandi aziende è prevista infine la tutela indennitaria debole. Questa tutela prevede solamente un’indennità risarcitoria omnicomprensiva tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità di retribuzione e spetta nei casi di licenziamento dichiarato inefficace per:

  • violazione del requisito di motivazione
  • violazione del procedimento disciplinare nei licenziamenti disciplinari
  • violazione della procedura preventiva di conciliazione nei licenziamenti economici

I lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 (Jobs Act, D.Lgs. 23/2015) sono soggetti al regime c.d. a tutele crescenti, che la Corte Costituzionale ha fortemente modificato rispetto alla sua formulazione originaria.

Per i licenziamenti discriminatori, nulli o intimati in forma orale non ci sono differenze sostanziali con i vecchi assunti (Corte Costituzionale n. 22/2024), essendo prevista anche per i nuovi assunti la reintegrazione nel posto di lavoro, un risarcimento pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento e fino alla reintegrazione, con un minimo di cinque mensilità, e la regolarizzazione contributiva (art. 2, D.Lgs. 23/2015). La stessa disciplina si applica anche nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore.

La tutela reintegratoria attenuata spetta nelle ipotesi di:

  • licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, se in giudizio viene direttamente dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore oppure il fatto è punito espressamente con una sanzione conservativa dalla contrattazione collettiva (art. 3, comma 2 D.Lgs. 23/2015; Corte Costituzionale n. 129/2024)
  • licenziamento per giustificato motivo oggettivo, se in giudizio viene direttamente dimostrata l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro (Corte Costituzionale n. 128/2024)

Nelle due ipotesi appena elencate il lavoratore ha diritto, oltre alla reintegrazione nel posto di lavoro e al versamento dei contributi, al risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento fino a quello di effettiva reintegrazione, fino ad un massimo di dodici mensilità.

In tutti gli altri casi in cui non ricorrono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo (compreso il caso di licenziamento sproporzionato o di violazione dell’obbligo di repêchage) spetta al lavoratore un’indennità risarcitoria compresa tra un minimo di sei e un massimo di trentasei mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR (art. 3, comma 1 D.Lgs. 23/2015; Decreto Dignità D.L. 87/2018; Corte Costituzionale n. 194/2018).

Se il licenziamento del nuovo assunto viene intimato senza motivazione o in violazione della procedura disciplinare di cui all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, al lavoratore spetta solamente una indennità risarcitoria compresa tra due e dodici mensilità di retribuzione (art. 4, D.Lgs. 23/2015; Corte Costituzionale 150/2020).

Ogni Avvocato del Lavoro Valdarno deve prestare particolare attenzione nel valutare il corretto regime sanzionatorio di un licenziamento illegittimo in una grande azienda. La corretta comprensione delle tutele che spettano al lavoratore è indispensabile per valutare la convenienza di un accordo conciliativo tra azienda e dipendente per evitare il rischio e i costi di una causa giudiziale.

Il Licenziamento nelle piccole aziende: spazio solo per la Tutela Indennitaria Debole

Nelle aziende che occupano fino a quindici dipendenti la reintegrazione nel posto di lavoro spetta solo nei casi di licenziamenti dichiarati discriminatori o nulli. In tutti gli altri casi di licenziamento, sia per motivi disciplinari che economici, il lavoratore ha diritto solamente ad un’indennità economica, il cui importo dipende dalla data di assunzione.

Per i vecchi assunti dipendenti di piccole aziende l’indennità risarcitoria che spetta in caso di licenziamento illegittimo deve essere di importo compreso tra un minimo di 2,5 mensilità di retribuzione e fino ad un massimo di sei (art. 8, L. 604/1966). Nelle aziende che occupano più di quindici dipendenti ma meno di sessanta, suddivisi in più sedi o comuni, l’indennità risarcitoria può essere maggiorata dal giudice fino a: 

  • dieci mensilità per i lavoratori con anzianità tra i dieci e i venti anni
  • quattordici mensilità per i lavoratori con anzianità superiore ai venti anni


Per gli assunti da piccole aziende in regime di Jobs Act, ossia a decorrere dal 7 marzo 2015, l’indennità risarcitoria dovuta a seguito di un licenziamento dichiarato illegittimo va da un minimo di tre ad un massimo di sei mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR (art. 9, D.Lgs. 23/2015; Corte Costituzionale n. 194/2018); il risarcimento minimo scende invece ad una mensilità nel caso di vizi di forma o di procedura del licenziamento.

Ricapitolando i punti chiave

Complessità giuridica

Il licenziamento è circondato da una fitta rete di norme, derivanti anche dalla contrattazione collettiva, e di orientamenti giurisprudenziali ondivaghi che rendono essenziale una corretta comprensione per garantire i propri diritti.

Diverse tipologie

Dal licenziamento per giusta causa e disciplinare a quello economico, dal licenziamento in una piccola azienda a quello in una grande impresa, ogni scenario presenta sfide e aspetti distinti.

Conseguenze pesanti

Un licenziamento gestito in modo errato può avere ripercussioni sia economiche che emotive per il lavoratore, oltre a potenziali sanzioni per l’azienda

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Come funziona

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1

Valutazione dei profili
di legittimità 
del licenziamento

2

Presentazione di un'impugnazione stragiudiziale

in caso di licenziamento ritenuto illegittimo

4

Si può procedere con un

Ricorso giudiziale

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