Con la fine del blocco dei licenziamenti imposto dal governo alle aziende al fine di mitigare gli effetti Con la fine del blocco dei licenziamenti imposto dal governo alle aziende al fine di mitigare gli effetti della crisi economica e sociale causata dalla pandemia da COVID-19, molti lavoratori sono stati licenziati per giustificato motivo oggettivo (di seguito anche “GMO”)
Di seguito cercheremo di fare chiarezza sul significato e la legittimità di questa tipologia di licenziamento.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: anche detto licenziamento economico.
Il licenziamento per GMO rappresenta un’ipotesi di recesso del datore di lavoro dal rapporto di lavoro dettato da scelte imprenditoriali di carattere economico o tecnico-produttivo e non da una colpa imputabile al lavoratore; la norma parla infatti di: “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (art. 3, l. n. 604/1966).
In questi casi l’ordinamento privilegia la libertà imprenditoriale – tutelata dall’art. 41 della Costituzione – rispetto all’interesse primario del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro.
Quali sono le ipotesi più frequenti in cui sussiste un giustificato motivo oggettivo?
Il GMO ricorre non solo – come si può pensare – nei casi di crisi di mercato o di settore, che si ripercuotono sull’andamento economico e finanziario dell’azienda, ma può essere giustificato anche da legittime scelte imprenditoriali volte ad apportare miglioramenti produttivi od organizzativi.
E così il licenziamento per GMO potrà essere giustificato da una crisi dell’impresa – e ancor più dalla cessazione dell’attività produttiva –; dalla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il lavoratore; dalla esternalizzazione delle mansioni affidate al lavoratore (c.d. outsourcing, ossia l’affidamento di servizi e/o attività ad imprese esterne); l’introduzione di nuove tecnologie che richiedano un minor numero di addetti.
Rientra infine nel licenziamento per GMO quello irrogato a seguito della sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore a svolgere le mansioni assegnategli (da non confondere con il licenziamento per superamento del periodo di comporto, ossia quello motivato da uno o più periodi di assenza per malattia del lavoratore protratti oltre i limiti stabiliti dalla contrattazione collettiva).
L’obbligo di repêchage in capo al datore di lavoro.
Un legittimo motivo economico non è tuttavia da solo sufficiente a giustificare un licenziamento per GMO.
Il datore di lavoro ha infatti l’obbligo di valutare preventivamente la possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni, sia analoghe o equivalenti a quella soppressa, ma anche diverse e inferiori rispetto a quelle da ultimo ricoperte.
Il tentativo di ricollocazione del lavoratore in altre mansioni costituisce un vero e proprio obbligo per l’azienda, sulla quale grava l’onere di provare in giudizio l’impossibilità di reimpiego del dipendente: il licenziamento per GMO deve rappresentare l’extrema ratio.
Qual’è il controllo che il giudice deve compiere per verificare la legittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo?
Nel caso di impugnazione di un licenziamento per GMO il giudice dovrà verificare che il riassetto organizzativo dell’impresa, cui consegue la soppressione della posizione lavorativa, sia effettivo (ossia realmente esistente), fondato su circostanze fattuali esistenti al momento della comunicazione del licenziamento e non pretestuoso.
Oltre a questa principale valutazione, il giudice sarà a chiamato a verificare l’esistenza di un nesso causale tra la riorganizzazione aziendale e licenziamento, che la scelta del dipendente da licenziare sia avvenuta secondo criteri di correttezza e buona fede (il riferimento è ai criteri di scelta previsti dalla normativa per i licenziamenti collettivi) e, infine, l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni.
Della prova delle condizioni appena elencate dovrà farsi carico esclusivamente il datore di lavoro.
Occorre tuttavia precisare che il giudice non potrà mai sindacare la congruità o l’opportunità delle ragioni tecniche, organizzative o produttive addotte dal datore di lavoro, purché, appunto, effettive e non simulate: il licenziamento per GMO può essere giustificato anche dalla ricerca di una migliore efficienza gestionale o dall’incremento del profitto dell’impresa.
Le tutele per i vecchi assunti (lavoratori già in forza presso l’impresa al 6 marzo 2015).
In caso di licenziamento per GMO illegittimo le tutele per i lavoratori si distinguono in base al periodo di assunzione, se avvenuta cioè prima o successivamente al c.d. Jobs Act .
Per i c.d. vecchi assunti, cui si applica l’art. 18 l. n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), sono previste due tutele differenziate, a seconda della gravità del vizio del licenziamento:
- Insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per GMO (che concerne anche l’obbligo di repêchage) nonché difetto del motivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore: reintegrazione nel posto di lavoro – con opzione in capo al lavoratore di scegliere in luogo della reintegra una indennità sostitutiva pari a 15 mensilità – oltre al pagamento di una indennità risarcitoria pari all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reintegrazione, fino ad un massimo di 12 mensilità. L’anzidetto regime di tutela è stato reso per il giudice obbligatorio – e non facoltativo, come sembrava potersi desumere dalla formulazione originaria dell’art. 18, 7° comma – dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 59 del 24 febbraio – 1 aprile 2021.
A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 125 del 19 maggio 2022, invece, non è più necessaria la “manifesta insussistenza” del fatto per ottenere la reintegra nel posto di lavoro, ma è sufficiente la mera insussistenza dello stesso. - Altre ipotesi in cui viene accertato che non ricorrono gli estremi del GMO: indennità risarcitoria omnicompresiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti.
Il regime di tutela appena descritto riguarda i soli dipendenti di aziende grandi, mentre nel caso di licenziamento ingiustificato di un dipendente di una piccola impresa il datore di lavoro può scegliere alternativamente tra la riassunzione del lavoratore o il pagamento di una indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 2,5 mensilità ed un massimo di 6 (maggiorabile fino a 10 o 14 mensilità in casi specifici).
Il tentativo obbligatorio di conciliazione in caso di licenziamento per GMO dei vecchi assunti.
L’intimazione del licenziamento per GMO di un lavoratore dipendente di una grande azienda deve essere preceduta da una comunicazione del datore di lavoro all’Ispettorato Territoriale del Lavoro del luogo in cui il lavoratore presta la sua opera (e per conoscenza anche a quest’ultimo), con la quale dichiara l’intenzione di procedere al licenziamento per GMO, indicandone i motivi (art. 7 l. n. 604/1966).
L’ITL trasmette poi la convocazione alle parti entro 7 giorni e l’incontro volto ad esaminare soluzioni alternative al licenziamento si conclude entro ulteriori 20 giorni dalla trasmissione della convocazione.
Se il tentativo di conciliazione fallisce, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento; se invece la conciliazione si conclude con esito positivo e prevede la risoluzione del rapporto di lavoro (spesso accompagnata da una indennità di buonuscita), il lavoratore potrà fruire dell’indennità di disoccupazione.
Se il datore di lavoro intima il licenziamento per GMO senza il rispetto della procedura obbligatoria di conciliazione, il giudice dichiara comunque risolto il rapporto di lavoro e lo condanna al pagamento di una indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata fra 6 e 12 mensilità.
Le tutele per i nuovi assunti (lavoratori in forza presso l’impresa dal 7 marzo 2015).
Anche per i lavoratori post Jobs Act , e quindi soggetti alla disciplina del d.lgs. n. 23/2015, le tutele in caso di licenziamento per GMO illegittimo sono sono di due tipi, una reintegratoria e l’altra indennitaria.
- Insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per GMO: reintegrazione nel posto di lavoro – con opzione in capo al lavoratore di scegliere in luogo della reintegra una indennità sostitutiva pari a 15 mensilità – oltre al pagamento di una indennità risarcitoria pari all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reintegrazione, fino ad un massimo di 12 mensilità. Questo regime di tutela spetta a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 128 del 4 giugno – 16 luglio 2024, la quale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’art. 3, 2° comma del d.lgs. n. 23/2015.
- Altre ipotesi in cui viene accertato che non ricorrono gli estremi del GMO, compresa quella di violazione dell’obbligo di repechage: il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 6 ed un massimo di 36 mensilità. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 194 del 26 settembre – 8 novembre 2018, l’indennizzo è calcolato tenendo conto degli anni di servizio del lavoratore nonché dei seguenti parametri: numero dei dipendenti occupati; dimensioni dell’attività economica; comportamento e condizioni delle parti.
Nel caso di dipendenti di piccole imprese, a fronte di un licenziamento per GMO illegittimo, spetterà al lavoratore solamente una indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 3 ed un massimo di 6 mensilità, tenendo conto dei parametri sopra elencati.