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Sei stato licenziato senza un motivo o per un motivo falso o discriminatorio?

Giugno 15, 2016
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Indice

Davanti al licenziamento ingiusto il lavoratore può difendersi. Vediamo come, cercando di far chiarezza in una normativa radicalmente stravolta dalla riforma Fornero (l. n. 92/2012) e, da ultimo, dal d.lgs. n. 23/2015, attuativo del Jobs Act.

N.B. Aggiornato al d.l. n. 87/2018 – c.d. Decreto Dignità – e alla sentenza della Corte Costituzionale n. 194 del 26 settembre – 8 novembre 2018.

Innanzitutto: quale procedura si deve seguire per impugnare il licenziamento illegittimo?

Il licenziamento deve essere impugnato nel termine di 60 giorni dalla sua comunicazione (ovvero dalla comunicazione dei motivi, ove non contestuale) con un qualsiasi atto scritto stragiudiziale, come una raccomandata con avviso di ricevimento.
Dalla data di spedizione di questa prima impugnazione, decorre un ulteriore termine di 180 giorni per depositare il ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro (o per comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato).

Una volta accertata l’illegittimità del licenziamento, quali tutele dispone la legge?

Occorre fare una distinzione, perché con l’introduzione del contratto a tutele crescenti operata dal d.lgs. 23/2015, la tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo si differenzia in base alla data di assunzione.
Infatti, la disciplina delle c.d. tutele crescenti si applica ai lavoratori assunti a tempo indeterminato (oppure il cui rapporto di lavoro sia stato convertito da contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato) dal 7 marzo 2015. Inoltre, il regime delle tutele crescenti si applica anche ai dipendenti assunti a tempo indeterminato entro il 6 marzo 2015 in aziende che, in conseguenza delle suddette assunzioni a tempo indeterminato, integrino la soglia dei 16 dipendenti di cui all’art. 18, st. lav.
Fuori dal suindicato ambito di applicazione delle tutele crescenti, continua ad applicarsi la disciplina della riforma Fornero. Partiamo da quest’ultima.

Sei stato assunto a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015? Ecco cosa prevede la normativa predisposta dalla riforma Fornero.

Le tutele predisposte sono principalmente due, definibili una reale (perché comporta la reintegrazione nel posto di lavoro o, a scelta del lavoratore, un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità di retribuzione) e l’altra obbligatoria (perché lascia spazio solo ad un risarcimento di tipo economico).

  1. Se il licenziamento è dovuto a motivi c.d. discriminatori, oppure è stato intimato in forma orale o, ancora, è nullo (es. è stato intimato in violazione dei divieti previsti in caso di maternità o paternità), il lavoratore ha diritto alla tutela reale piena, ossia alla reintegrazione nel posto di lavoro e ad un’indennità risarcitoria pari alle retribuzioni non corrisposte dal giorno del licenziamento e fino a quello dell’effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere minore alle 5 mensilità. Tuttavia, fermo restando il risarcimento del danno, il lavoratore ha la facoltà di sostituire la reintegrazione nel posto di lavoro con un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità.
  2. Se il licenziamento è stato intimato in assenza di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, la tutela reale si applica solamente nel caso di inesistenza del fatto contestato dal datore o perché il fatto, pur esistente, poteva essere punito solamente con una sanzione di tipo conservativo secondo il contratto collettivo applicabile (es. richiamo, sospensione dal lavoro). In questi due casi la tutela è sì reale, dando diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro (o all’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità), ma l’indennità risarcitoria non potrà essere superiore alle 12 mensilità.
    Nelle altre ipotesi, (es. licenziamento sproporzionato) la tutela è solamente di tipo obbligatoria, e il lavoratore avrà diritto ad un’indennità risarcitoria che va da un minimo di 12 mensilità ad un massimo di 24.
  3. Se il licenziamento è stato intimato in assenza di giustificato motivo oggettivo, si applica la tutela reale nel caso di: a) manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento (es. una riorganizzazione aziendale mai avvenuta); b) difetto di giustificazione del licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica del lavoratore; c) licenziamento intimato ad un lavoratore malato o infortunato in violazione dell’obbligo di conservazione del posto. Anche in questi tre casi, tuttavia, l’indennità risarcitoria che accompagna la reintegrazione (o l’indennità sostitutiva) non potrà superare le 12 mensilità.
    Negli altri casi la tutela apprestata al lavoratore ingiustamente licenziato è quella obbligatoria, consistente nell’indennità risarcitoria tra un minimo di 12 mensilità ed un massimo di 24.
  4. Se il licenziamento, infine, è stato intimato con un vizio di forma o di procedura, il lavoratore ha diritto ad una tutela obbligatoria pari ad un minimo di 6 ed un massimo di 12 mensilità di retribuzione.

N.B. Il regime appena descritto si applica alle aziende grandi, con più di 15 dipendenti. Per le piccole aziende fino a 15 dipendenti sussiste, per tutti i tipi di licenziamento illegittimo, solamente la tutela obbligatoria consistente in un’indennità risarcitoria che va da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di 6. Con un’unica eccezione: in caso di licenziamento discriminatorio il lavoratore, anche di piccola azienda, ha diritto alla tutela reale piena descritta al punto 1).

Sei stato assunto (o trasformato) a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015?

Cerchiamo di illustrare il nuovo regime – che riduce ulteriormente l’ambito della reintegrazione – delle tutele crescenti.

  1. Se il licenziamento è discriminatorio, oppure nullo o intimato in forma orale, la tutela è ancora quella reale piena, che dà diritto al lavoratore di richiedere la reintegrazione nel posto di lavoro (o un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità), unitamente alla corresponsione delle retribuzioni mancanti dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione, con un minimo di 5 mensilità.
  2. Se il licenziamento è intimato in assenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, la tutela reale, accompagnata dall’indennità risarcitoria di massimo 12 mensilità, permane solamente nell’unico caso in cui in giudizio sia dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (con l’irrilevanza di ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento). In tutti gli altri casi la tutela residuale è quella obbligatoria, che il d.lgs. 23/2015 ha ridefinito in un’indennità risarcitoria pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità (limiti aumentati dal d.l. n. 87/2018). Questo rigido meccanismo legato alla sola anzianità di servizio è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 194 del 26 settembre – 8 novembre 2018, la quale ha stabilito che il giudice, nel determinare l’indennità risarcitoria, deve tenere conto anche di altri parametri, quali il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’impresa e dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti.
  3. Anche nel caso di licenziamento intimato in mancanza di giustificato motivo oggettivo, l’area della tutela reale è stata limitata alla sola ipotesi in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, con un’indennità risarcitoria non più limitata alle 12 mensilità, ma pari alle retribuzioni non corrisposte dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione e comunque non inferiore alle 5 mensilità (tutela reale piena).
    In tutti gli altri casi (direi la quasi totalità), residua la tutela obbligatoria tra un minimo di 6 e un massimo di 36 mensilità (secondo i parametri visti al punto precedente).
  4. Per i licenziamenti viziati in punto di forma o di procedura il lavoratore beneficia della tutela obbligatoria, che gli attribuisce il diritto ad un’indennità risarcitoria commisurata in una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, tra un minimo di 2 ed un massimo di 12.

N.B. Se il lavoratore è impiegato in una piccola azienda (fino a 15 dipendenti), la tutela reale è invocabile, e in modalità piena (cioè con un’indennità risarcitoria pari a tutte le retribuzioni non corrisposte tra il licenziamento e la reintegrazione, con un minimo di 5), solamente per i licenziamenti discriminatori, nulli o orali, o quando manca il motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore.
In tutti gli altri casi di assenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo o giustificato motivo oggettivo, la tutela per i lavoratori delle piccole aziende è di tipo obbligatoria con un ammontare dell’indennità risarcitoria pari ad una mensilità per ogni anno di servizio, e in ogni caso tra un minimo di 3 ed un massimo di 6 (anche per le piccole aziende il giudice, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale sopracitata, dovrà tenere conto di parametri ulteriori rispetto alla sola anzianità di servizio).
Per vizi di forma o di procedura del licenziamento, la tutela obbligatoria è ancor più ridotta: mezza mensilità per ogni anno di servizio, tra un minimo di 1 ed un massimo di 6.

Se sei interessato all’argomento per approfondimenti puoi leggere anche:

Tutela del lavoratore: reintegrazione o riassunzione – a cura dell’avvocato Lorenzo Cirri

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12 risposte

  1. Buongiorno avvocato,
    si può essere licenziati in tronco per avere detto un fanculo e stronzo al datore di lavoro?

    1. Caro Marco,
      quasi tutti i contratti collettivi prevedono quale causa di licenziamento per giusta causa una gravissima insubordinazione, come può essere inquadrata la Sua.
      Ad ogni modo, contestualizzando l’offesa (es. atteggiamento fortemente provocatorio del datore), potrebbero esserci dei margini di difesa.
      Cordialmente

      Avv. Lorenzo Cirri

  2. Salve avvocato, avrei una domanda.. se può gentilmente rispondere: sono in attesa del permesso di soggiorno regolare (il primo) sto lavorando in regola dal giorno 19 novembre. E la signora giusto il giorno che io ho consegnato il contratto alla questura, mi dice che mi vuole licenziare!!!!!!!
    Proprio cosi.. cmnq.. lei ha il diritto di farlo? È cosa succede al mio permesso se lei fa il licenziamento? Perche il mio permesso arriva x 20 febbraio. E lei si sta sforzando ad andare fin a fine mese (gennaio)

    1. Caro Cely,
      molto dipende dal tipo di rapporto di lavoro che ha in essere.
      Immagino sia un rapporto di lavoro in qualità di assistente familiare.
      In questo caso il datore di lavoro ha ampia libertà nel licenziamento, essendo un rapporto di lavoro che necessità di un forte elemento fiduciario.
      Se una volta perduto il posto di lavoro si reca subito presso il Centro per l’Impiego, attestando il proprio stato di disoccupazione e il rapporto di lavoro pregresso, non dovrebbero esserci conseguenze per il Suo permesso di soggiorno.
      Le consiglio ad ogni modo di farsi assistere da un ente di patronato per evitare errori di tipo burocratico.
      Cordialmente

      Avv. Lorenzo Cirri

  3. Buongiorno Avvocato,
    avrei una domanda in quanto ho un contenzioso aperto con la mia ex azienda.
    Ero configurato come partita IVA mentre in realtà svolgevo a tutti gli effetti le mansioni di lavoratore subordinato.
    Domanda:
    potendo dimostrare i criteri di subordinazione e quindi la natura di falsa partita iva del mio contratto, ho diritto al reintegro indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda? Oppure per aziende al di sotto dei 15 dipendenti si applicano altre norme?
    Ringrazio anticipatamente chiunque mi risponde.
    Luca G.

    1. Caro Luca,
      ben potrà instaurare un contenzioso per far valere la natura subordinata del rapporto di lavoro e richiedere eventuali differenze retributive e contributive.
      Tuttavia, se vorrà far valere anche una cessazione del rapporto illegittima e farla qualificare come licenziamento, ha 60 giorni di tempo dalla cessazione per l’impugnazione stragiudiziale ed ulteriori 180 giorni per quella giudiziale.
      Per le aziende di minori dimensioni, purtroppo, la normativa non prevede la reintegrazione se non nei casi di licenziamento discriminatorio.
      Cordialmente

      Avv. Lorenzo Cirri

  4. buongiorno dott. avvocato. un’azienda per cui lavoravo ha commesso una serie di cose apparentemente illecite a mio avviso e vorrei sapere se avrei qualche possibilità di ottenere ciò che mi è consentito dalla legge. Sono stato assunto nel mese di settembre e ho lavorato 3 giorni alla fine del mese e altri 7 giorni ad ottobre. il contratto che mi è stato dato non indicava il valore del mio pagamento, indicava solo la categoria e il nome del sindacato. in seguito, dopo la mia dimissione, avrebbero detto che il valore era inferiore a quello indicato dal sindicate. ho lavorato ore extra ma questo non è stato pagato, volevano che aspettassi un mese fino al pagamento di tutti i dipendenti a novembre (come se fossi ancora un dipendente e non come risoluzione del mio contratto) e non mi avrebbero rimborsato per i buoni pasto che coprirebbero le mie spese alimentari per i 10 giorni in cui ho lavorato. che tipo di diritti ho? inoltre, ho visto il dipendente incaricato del pagamento modificare l’orologio delle ore lavorate degli altri dipendenti per non pagare le ore extra. e temo che non mi pagheranno ore extra in base a quello

    1. Buonasera,
      nel contratto di assunzione è sufficiente indicare il livello di inquadramento e il contratto collettivo applicabile, facendo riferimento, per la retribuzione, ai minimi contrattuali stabiliti dalla contrattazione collettiva.
      Le ore di straordinario devono essere retribuite e se non figurano in busta paga le consiglio di richiedere l’intervento dell’Ispettorato del lavoro, al quale denunciare tutte le mancanze dell’azienda.
      Cordialmente

      Avv. Lorenzo Cirri

  5. Salve Avvocato,

    al secondo giorno lavorativo, mi è stato comunicato dalla mia azienda, che il cliente non intende procedere con l’attività.
    Di conseguenza procederanno con il licenziamento in quanto il progetto lavorativo non c’è più.

    Essendo una causa non imputabile a me, mi domando se il licenziamento sia legittimo.
    La mia azienda, si è subito tutelata, dicendo che non è imputabile a loro, non hanno colpe per una decisione non dipesa da loro.
    Non si prenderanno la responsabilità nella lettera di licenziamento.
    Quindi immagino che risulterà qualche motivazione attinente alla mia di professionalità.

    Nel suddetto periodo c’è anche il blocco dei licenziamenti.
    Vorrei sapere se è possibile fare ricorso e chiedere un risarcimento danni.

    Cordiali saluti

    1. Caro Enzo,
      per il momento, stante il blocco dei licenziamenti, non potranno adottare un simile licenziamento.
      Potranno solo licenziarla per motivi disciplinari che, da quello che mi racconta, non sussistono.
      La valutazione sulla legittimità di un licenziamento è un’operazione complessa, che potrà essere compiuta solo una volta verificato effettivamente il licenziamento.
      Quanto al risarcimento danni le spetterà nel caso in cui il licenziamento sia dichiarato illegittimo da un Giudice.
      Cordialmente

      Avv. Lorenzo Cirri

  6. Buongiorno avvocato, mi chiamo Paolo , ho 63 anni, sono un barista in cassa integrazione da marzo 2020. Quattro mesi fà per puro caso ho scoperto che la ditta in cui lavoro ha messo degli annunci dove ricercava una figura femminile da inserire al posto mio. Ne parlai con la titolare la quale si giustificó dicendomi che una ragazza visto I tempi di magra, avrebbe attirato maggior clientela. Nonostante io abbia un contratto di lavoro a tempo indeterminato, non si sono fatti problemi e hanno inserito questa figura femminile al posto mio nonostante io sia ancora in cassa integrazione. Al termine della cassa integrazione con che motivo potrà licenziarmi? Consideri che non ci sono mai stati problemi tra noi, anzi, mi dicevano che eravamo tutti una famiglia. Come mi devo muovere? Distinti saluti, Paolo

    1. Caro Paolo,
      per quello che mi riferisce, le dico che la motivazione addotta dal datore – una figura femminile tale da attirare maggior clientela – non è sufficiente per un licenziamento ed anzi è da ritenersi discriminatoria, con la conseguenza che il licenziamento potrebbe essere dichiarato nullo ove dimostrato l’intendo del datore di lavoro.
      Altrimenti non vedo motivazioni valide: potrebbe licenziarla per giustificato motivo oggettivo, giustificando il provvedimento da una crisi dell’attività. Tale motivazione risulterebbe infondata, alla luce della nuova assunzione.
      Le dirò di più: il collocamento in cassa integrazione, sempre alla luce dell’assunzione di un lavoratore in sostituzione, è del tutto illegittimo e comporta la possibilità di richiedere le differenze retributive tra la retribuzione ordinaria e il trattamento di cassa integrazione.
      Le consiglio di rivolgersi ad un avvocato specializzato in diritto del lavoro già in questa fase di pre-contenzioso al fine di non incorrere in decadenze o prescrizioni.
      Cordialmente

      Avv. Lorenzo Cirri

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Giugno 15, 2016