Come ormai noto il c.d. Jobs Act (D.Lgs. N. 23/2015) ha posto una distinzione tra vecchi assunti, soggetti al regime di tutela di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, e i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 7 marzo 2015, soggetti ad un regime c.d. “a tutele crescenti”.
In questo articolo illustriamo le conseguenze sanzionatorie legate al licenziamento illegittimo di un lavoratore assunto con contratto a tutele crescenti, anche alla luce delle modifiche apportate dal c.d. Decreto Dignità (D.L. N. 87/2018) e dalle pronunce della Corte Costituzionale.
Le tutele in caso di licenziamento nullo o discriminatorio.
Se il giudice dichiara il licenziamento nullo poiché discriminatorio, ritorsivo oppure riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge, il lavoratore ha sempre diritto, a prescindere dalle dimensioni del datore di lavoro (art. 2, D.Lgs. N. 23/2015; Corte Costituzionale, sentenza 23 gennaio – 22 febbraio 2024, n. 22):
a) alla reintegrazione nel posto di lavoro, con facoltà per il lavoratore di chiedere al datore di lavoro, in alternativa, una indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR;
b) ad una indennità risarcitoria pari alla retribuzione utile per il calcolo del TFR per il periodo dal giorno del licenziamento fino a quello di effettiva reintegrazione, in ogni caso non inferiore a 5 mensilità;
c) al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello di effettiva reintegrazione.
Lo stesso regime sanzionatorio si applica nei casi di licenziamento inefficace perché intimato in forma orale e in quelli in cui difetta la giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore.
Le tutele in caso di licenziamento disciplinare (per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa).
In caso di licenziamento disciplinare illegittimo la normativa prevede due tipologie di tutele, a seconda della gravità del vizio che affligge il licenziamento (art. 3, D.Lgs. N. 23/2015; Corte Costituzionale, sentenza 26 settembre – 8 novembre 2018, n. 194).
- Nel caso in cui sia insussistente il fatto materiale contestato al lavoratore, o laddove il fatto, pur materialmente accaduto, non ha rilievo disciplinare, spettano al lavoratore:
- la reintegrazione nel posto di lavoro (con facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione, 15 mensilità);
- una indennità risarcitoria pari alla retribuzione maturata dal giorno del licenziamento fino a quello di effettiva reintegrazione, fino ad un massimo di 12 mensilità;
- il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello di effettiva reintegrazione.
- In tutti gli altri casi in cui non ricorrano gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, compreso il caso di licenziamento sproporzionato rispetto ai fatti contestati, al lavoratore spetta solamente una indennità di tipo risarcitorio, non soggetta a contribuzione previdenziale, compresa fra 6 e 36 mensilità di retribuzione, calcolata tenendo conto dell’anzianità di servizio, del numero dei dipendenti occupati dall’azienda, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti.
Le tutele in caso di licenziamento per motivi economici (per giustificato motivo oggettivo).
Anche nei casi di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ricorrono due diversi regimi di tutela.
- Nel caso in cui sia insussistente il fatto materiale allegato dal datore di lavoro a fondamento del licenziamento, spettano al lavoratore: a) la reintegrazione nel posto di lavoro (con opzione di richiedere, in sostituzione della reintegra, 15 mensilità); b) una indennità risarcitoria fino ad un massimo di 12 mensilità; c) il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello di effettiva reintegrazione (art. 3, 2° comma, D.Lgs. N. 23/2015; Corte Costituzionale, sentenza 4 giugno – 16 luglio 2024, n. 128).
- In tutti gli altri casi, compresi quelli di violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di diversa collocazione del lavoratore (c.d. “repechage“), al lavoratore spetta solamente l’indennità di tipo risarcitorio compresa fra 6 e 36 mensilità di retribuzione, calcolata secondo i parametri sopra elencati (art. 3, 1° comma, D.Lgs. N. 23/2015).
Le tutele in caso di licenziamento affetto da vizi di forma o di procedura.
Se il licenziamento, pur giustificato, è intimato senza motivazione o in violazione della procedura disciplinare di cui all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, al lavoratore spetta comunque una indennità risarcitoria, non soggetta a contribuzione previdenziale, compresa fra 2 e 12 mensilità di retribuzione (art. 4, D.Lgs. N. 23/2015; Corte Costituzionale, sentenza 24 giugno – 16 luglio 2020, n. 150).
Le tutele in caso di licenziamento intimato da piccole aziende (datori di lavoro fino a di 15 dipendenti presso la sede nel quale ha avuto luogo il licenziamento e comunque fino a 60 presso l’intera azienda).
Salvo la ricorrenza di un licenziamento discriminatorio o nullo, in caso di licenziamento intimato da datori di lavoro c.d. “sotto soglia”, sia per motivi disciplinari che economici, il giudice dichiara sempre l’estinzione del rapporto di lavoro, e al lavoratore spetta solamente una indennità risarcitoria, non soggetta a contribuzione previdenziale, compresa fra 3 e 6 mensilità di retribuzione (art. 9, D.Lgs. N. 23/2015).